Polis

Print Friendly, PDF & Email

Fondamento teorico del benaltrismo

\overline {A\cdot B}=\overline A+\overline B

\overline {A+B}=\overline {A}\cdot \overline {B}
Inizio provocatoriamente con i teoremi di De Morgan, teoremi di logica. A e B sono ad esempio frasi semplici, formate da soggetto, verbo e complemento. il punto sta per "e", il più sta per "o". La barra sta per negazione. Se A=" Napoli è violenta" e B="I raiders sono schiavi", la prima parte della prima identità si traduce in: quale è la frase che è l'esatta negazione della frase "Napoli è violenta e i raiders sono schiavi"? La risposta è "Napoli non è violenta o(oppure) i raiders non sono schiavi", rappresentata dal secondo termine.
Il benaltrismo è quella patologia logico/semantica che mischia gli "o" con gli "e", rendendoli o sinonimi o semplicemente privi di senso. Ad esempio; io dico una cosa e un altro controbatte "ma il problema è un altro, partendo dall'ipotesi che sia vera o un'affermazione o un'altra. Il benaltrismo è per la semplificazione: abolisce gli "e" usando solo "o", distruggendo non solo la logica, ma tutto il pensiero razionale. Per il benaltrista non esisterebbe l'elettronica digitale, che gli consente di sparare impunemente le sue assurdità. Non si pone neanche il problema che sia necessario lottare sia sul fronte, nel nostro esempio, della delinquenza di prossimità che su quella strutturale, sistemica direi, che è l'enorme sfruttamento dell'uomo. No, per lui è o l'uno o l'altro. La patologia sembra, e mi piange il cuore, che sia molto più diffusa in coloro che si dichiarano di sinistra.
Print Friendly, PDF & Email

L'eterna giostra, avanzamento

IO, NOI e LEI. Tesi per un cambiamento, per una nuova TERRA

 

 TESI 1: la misura

i tre corpi

le tre sfereDiscorrendo con un mio amico, riflettevamo sul fenomeno dei tamponi. Osservavo che, se in quel momento l'avessero fatto a noi, probabilmente saremmo stati positivi. O forse no. 
La storia dell'uomo, la sua evoluzione intesa come conoscenza del mondo in cui l'uomo vive ed agisce, è correlata con l'evoluzione dei metodi che ci siamo dati per conoscere il nostro mondo. Tanto più questi metodi sono conosciuti, diffusi e condivisi, tanto più avanza la nostra civiltà e migliora il nostro equilibrio con l'ambiente circostante, il palcoscenico su cui agiamo. Non è un caso che la parola misura sia ambivalente: misura come atto di determinare quanto vale una grandezza (fisica, sociale, politica, biologica) sia nel senso di participio passato, essere misurati, cioè non esser presi da isterismi o facili entusiasmi.

Misurare significa paragonare qualcosa con qualcos’altro di cui abbiamo dimestichezza e fiducia, condivisione e fiducia nella sua immutabilità. In ambito classico, newtoniano, significa avere un luogo, un "laboratorio", in cui poniamo le cose e le mettiamo in relazione con uno strumento che ne determini qualche caratteristica che reputiamo fondamentale per la sua (delle cose) comprensione. Per misurare una velocità, ad esempio, ho bisogno di un orologio e di un metro, cioè di attrezzi per misurare il tempo e lo spazio percorso. Due osservazioni importanti: la prima è che tutti sono d'accordo sul tempo e sullo spazio, la seconda è che devo usare la matematica per correlare gli strumenti che uso. Se i misuratori cioè hanno la stessa concezione di cosa sono i secondi, i metri e come usare la matematica, siamo a cavallo. le misure saranno ritenute corrette e condivisibili. Ma c'è un altro aspetto sottile, sottinteso. Che ci sia separazione tra chi fa la misura e l'oggetto e che la misura non altera in alcun modo l'oggetto. Questo, pomposamente, chiamiamo il paradigma newtoniano.

Print Friendly, PDF & Email

Occorre avere misura 2. una nuova Ontologia

Qua le cose si complicano assai. L'osservato e l'osservatore non sono più separati. Non è definibile il loro confine. Non è possibile teoricamente misurare tutto ciò che voglio con la stessa precisione, anzi posso solo scoprire mezze verità. L'osservatore modifica l'osservato. L'atto della misura determina solo un possibile stato dell'osservato. In altre parole, la mia conoscenza del mondo è intrinsecamente incompleta., sono a me nascoste le reali grandezze che descivono in modo completo il fenomeno che sto osservando. per quanti sforzi faccia, sono inglobato, faccio parte dell'esperimento. Questa consapevolezza innalza il mio livello di coscienza, in mio rapporto col mondo. Non posso chiamarmi fuori, sono coinvolto in una giusta in cui sono contemporaneamente cavia e protagonista.

Nel mio articolo precedente concludevo con questa considerazione, che vorrei approfondire.
Siamo abituati ad essere "realisti" nel senso che osserviamo il mondo fuori di noi, analizziamo e giudichiamo separandolo da noi. Facciamo queste cose ovviamente con i nostri parametri e con gli strumenti che abbiamo. Tendiamo a chiamarci fuori dagli accadimenti, non ne facciamo parte, anzi li viviamo spesso come attentati a noi, al nostro equilibrio esistenziale. Il mondo esiste a prescindere se lo osserviamo, ha le sue leggi e le sue dinamiche, si evolve comunque in modi che gli sono propri. Quale è il problema?
Come ci rapportiamo con quello che c'è fuori di noi. Dipende da come gli accadimenti impattano sul nostro essere e da come interagiamo, anzi da come percepiamo l'interazione. Un possibile discrimine è la quantità e qualità dell'interazione. Se viene reputata non dirompente e dinamicamente assorbita e tale da determinare una rostra resilienza, adattabilità, continuiamo a vivere in un relativo equilibrio che, oltretutto, non altera il nostro realismo. Continuiamo cioè nel nostro stile, nelle nostre abitudini, anzi tendiamo a rafforzare le nostre convinzioni, aumenta la nostra autostima.

Ma stiamo trascurando, direi tragicamente una serie di fatti.

Il nostro mondo ormai è globalizzato. Siamo arrivati ad una fase storica, politica, economica, tecnologica ed ecologica in cui tutti questi aspetti sono interconnessi. I confini, semmai siano esistiti, crollano. Il mondo è piccolo, paradossalmente. La globalizzazione, tra tutti gli effetti che qui non discuto, ne ha uno che secondo me è quello più importante, che determina un modo nuovo di vedere, anzi stare, nel mondo. Non siamo più fuori da nulla. Non è solo il percepire, avvertire, ma lo stare, l'esserci. Osservare in modo realistico, chiamandoci fuori da ciò che percepiamo esterno a noi, è impossibile. Facciamo parte del "laboratorio". L'osservato e l'osservatore coincidono. Chiamerei questa cosa "Ontologia realistica quantistica". Mi spiego.
La meccanica quantistica è quella scienza che non distingue bene tta chi fa la misura e chi è misurato. Questo porta a rendere impossibile la completa analisi del mondo. Non voglio fare un trattato completo, non ne sarei capace. Il bello è che, pur essendo assurda in molti aspetti, funziona. Il Cern ne è la prova, l'elettronica, la chimica e la bomba atomica anche. Ha il difetto, ora come ora, di non essere realista. Presuppone cose strane: energia che sembra crearsi dal nulla, fenomeni che viaggiano a velocità infinita, tutte cose acclarate.

Io che giudico sono giudicato. Quello che faccio modifica il mondo che modifica me. Se sottovaluto questa cosa sto negando la realtà. Ed il problema, non risolto, è che tutto questo accade realmente. Siamo in presenza di una contraddizione epocale, che porterà ad un nuovo modello scientifico del mondo. Non solo, ci porterà a consideraci componente del mondo in modo intrinseco,  non più soggettivamente, ma oggettivamente . 

La mancata comprensione di questo fenomeno, che chiamerei realismo banale, spiega molte cose. Ad esempio perchè, dal punto di vista politico, c'è la crisi di quelle ideologie o correnti di pensiero storicamente progressiste. Esse sono veicolate da persone, da noi, ma la tendenza di porci ad di fuori del mondo che cerchiamo di cambiare ci ha portato a starne fuori, ad essere rigettati e respinti. Non ci siamo accorti, o spesso non abbiamo volutamente farlo, di essere come quello che c'è fuori. Da qui la credibilità, la fiducia, l'autorevolezza che sono cessate.

To be contiued...

 

 

Print Friendly, PDF & Email

Intervento immaginario ad un'assemblea

ambigua immagine

Cari Compagni, senza asterischi, chiocciole o perifrasi, voglio parlarvi di ambiguità,credibilità,senso comune e sentimenti. Lungi da me qualunque dotta analisi di fase, di inclite citazioni o di riferimenti a questo e a quello. Parlo di me. Sono il primo che ha fatto della sua vita un palcoscenico in cui potevo sfoggiare la mia ambiguità, spesso spacciata per altro, forse a causa della mia capacità dialettica o della superficialità degli interlocutori. Talvolta però era ben compresa, ma lasciavo perdere per motivi statistici. Gli abitanti del pianeta sono tanti. 

L'ambiguità è una caratteristica tipica del linguaggio umano ed è un fenomeno molto complesso. Partendo dalla scrittura, essa è intrinsecamente ambigua. ogni cosa che scriviamo può essere intesa in modi differenti ed è per questo che abbiamo disperatamente cercato mezzi per ridurne o addirittura azzerarne le sue imprecisioni. Abbiamo inventato linguaggi formali, la logica, abbiamo fatto congressi di matematica, i matematici sono impazziti per questo, sancendo l'impossibilità teorica di essere non ambigui. Poi c'è la rappresentazione orale della comunicazione, in cui oltre alle parole dette, che ricadono grosso modo nel caso precedente, c'è il linguaggio del corpo che arrichisce il contenuto del messaggio. Ciò che si sta dicendo è un tuttuno col modo in cui lo si sta dicendo. L'ascoltatore ne fa, consciamente o meno, una sintesi, un "integrale". Qui è necessario fare una distinzione: se conosciamo o meno l'interlocutore. Ma anche il conoscere non è oggettivo, dipende da come l'ascoltatore ha realizzato la sua gabbia mentale di parametri conoscitivi. Faccio un esempio partendo dai miei interessi. Ascoltare una conferenza di un fisico famoso. Se non lo conosci, vedrai spesso una persona trasandata, con i sandali ed una maglietta non stirata dire cose complicate con un'aria ultra chic. Penserai che quello che dice non necessita di giacca e cravatta, dato che l'eleganza sta in quello che dice, che corrisponde a quello che fa. Ecco, lui le cose che dice le ha fatte ed usa un linguaggio adatto, mutuato dalla logica matematica. E' credibile in senso stretto ma non è scevro da ambiguità, cerca solo di minimizzarla o di renderla esplicità. E', insomma onesto. Vedi in lui un uomo che non cerca di fotterti, in quanto il fotterti sarebbe controproducente anche per lui. Con i politici il discorso cambia. Quello che dicono, scrivono o fanno fa parte di un continuum spazio temporale. Sono punti di un tracciato. La loro credibilità sta nell'integrale generale che somma, riassume la loro storia nel tempo. Non basta aver detto l'ultima cosa giusta. Per noi che ascoltiamo ora un politico non ha senso dire ha ragione o torto ora, o meglio, dirlo vuol dire usare strumenti non politici, usare il sentimento o "la pancia". Se non si ha conoscenza del politico in questione, o, che è lo stesso, non si ha memoria sel suo integrale, la sommatoria dei giudizi di pancia porta a comportamenti irrazionali, storicamenti prodromi di avventure reazionarie e fasciste. 

I recenti fatti come il successo delle sardine o il voto inglese sono, secondo me, sintomi dell'ambiguità. La politica italiana, ma in realtà la politica mondiale, sta vivendo una crisi semantica, di significati. Per troppo tempo ha detto cose pensandone altre, rappresentata da persone plasticamente non credibili in quando ambiguamente non credibili. Nel migliore dei casi, ma che dico, nel peggiore dei casi si finge di credergli in quanto è l'interlocutore che ha interesse a farlo, essendo esso stesso ambiguo. Il fenomeno del salvinismo è questo ma, per un osservatore attento appare per quello che è: un mentitore seriale che conosce i suoi clienti e si presenta per quello che è. Ma sono, paradossalmente, gli altri che mi inquietano di più.

Sono quelli che si sono sempre professati progressisti, antifascisti, insomma di sinistra. Sono quelli del tutt*, del compagni e compagne, sempre educati, attenti a non offendere. Sono quelli che fanno lunghi post, lunghi discorsi in cui cercano di dimostrarti quanto poco abbiamo capito del presente, ma con educazione. Li vedi sempre li, sempre capaci di sopravvivere a tutt*, a cui non importa minimamente di essere importanti. Per loro è essenziale essere visibili, in qualsiasi modo, e lo fanno sfruttando al massimo la loro ambiguità. Non affrontano mai argomenti divisivi ma fanno surf usando la dialettica e la retorica. Si guardano bene dall'affrontare le radici profonde delle esposive condizioni reali del nostro presente, che li porterebbe alla loro estinzione. Sopravvivenza, pura sopravvivenza. Che è mascherata da cosmopolitismo, diritti civili, navi da difendere. Questo istinto primordiale, prepolitico, ancestrale, viene percepito da tutti gli umani, senzienti o meno, acculturati o meno. E sono odiati. ma a loro non interessa, riuscendo a garantirsi sempre uno zoccolo duro di seguaci che diventano complici consapevoli. Ci chiediamo perchè noi portatori del Credo, della Verità siamo insignificanti? Perchè, qualunque cosa diciamo e facciamo è senza significato, valore e credibilità o meglio, sono vere per chi sta bene. Il bello è che lo sappiamo, ma non ce ne fotte proprio nulla.

Deve crollare la nostra scena, il nostro fondale, in nostro teatro.

 

Print Friendly, PDF & Email

Mah!

SAM 0093 (Large) (Custom)Non mi ci ritrovo più con nulla. Fondamentalmente la nostra storia, la nostra vita è ormai svolta su due piani duali che si autoalimentano e che interagiscono in modo contradittorio. Da una parte il mondo reale, fatto di cose, di fatti, di sensazioni e di interazioni tangibili, dall'altro la sua rappresentazione con una dimensione in meno, fatta di schermi piatti in cui il tempo scorre dall'alto in basso. I grandi, potenti e spietati padroni della Rete hanno ormai vinto la loro battaglia, spostando un miliardo e mezzo di persone in questo mondo piatto. Ha vinto e prevale il terrapiattismo digitale. Coloro che pensano ancora che la soluzione dei loro problemi avvenga nel primo mondo, sono relegati in un angolo sempre più stretto. La loro trincea si assottiglia sempre di più. Il mondo digitale non è solo quello delle app, dei social media ma anche quello dei sistemi broadcast, che plasmano il mondo di pensiero debole, col semplice trucco di eliminare la spazialità e comprimere l'asse temporale. L'importante, sui social, infatti, è essere veloci nelle risposte, altrimenti si viene relegati in un pattume digitale senza valore, in cui già la bassa autostima subisce un'ulteriore declassamnento. La velocità implica abbandono della riflessione critica e trionfo della epidermica emotività istintuale. Un fenomeno ulteriore che vedo è la recente trasformazione di tecnologie sincrone in asincrone, che spinge verso una "serfizzazione" del loro uso. Ad esempio Wattsapp, che da messaggeria sincrona e pratica di trasforma in un luogo pieno di selfie vocali, spesso lunghissimi, pieni di vuoti, che uno non legge subito, ma quando ha tempo e voglia, snaturando le caratteristiche della app.

Da questo punto di vista, rimango sgomento che queste piattaforme ormai siano il luogo della solitudine, della manifestazione all'esistenza, della ridondanza e della protervia economica, un mix micidiale che crea depressione, senso di inutilità, fristrazione onanistita. Ma questo è il loro scopo, addormentare la ragione e la meditatzione. Io scrivo queste cose sul mio blog, riflettendo e modificando, senza fretta. Io scrivo sul mio pc per essere letto e condiviso, ma fondamentalmente per me stesso, per fissare i miei pensieri di questo momento. Non ho alcuna ansia di far presto, non mi fotte nulla di avere una eiaculazione precoce di likes.

Ma torniamo a noi. Che mi interessa dell'ennesima foto di Salvini o analoghi, che testimoniano questo presente distopico nel loro squallore desolante, oppure lo sfogo di chi cita il tal poeta o il tale piatto di pasta? E' vero, talvolta lo faccio pure io, quando ho un momento di noia. Abbiamo un mondo , là fuori, che sta crepando a causa del capitalismo e noi ci rifugiamo nel terrapiattismo digitale in cui cerchiamo disperatamente di affermare che esistiamo. Ma dove? 

Print Friendly, PDF & Email

Search