Grandezze assolute e relative

Galileo Galilei stabilì l'invarianza dei fenomeni fisici rispetto a particolari sistemi di riferimento, detti inerziali. Cioè se osservo un fenomeno e poi mi metto in un sistema che, rispetto al precedente, si muove in modo rettilineo ed uniforme, il fenomeno mi apparirà identico. Siccome sono fumatore, se fumo nel mio salotto oppure in auto a 100 km/h in rettilineo, il fumo della sigaretta si muove nella stessa maniera. Da come si muove il fumo non so decidere se sto fermo o in moto rettilineo.

Possiamo dire che la velocità di un oggetto è una grandezza relativa, la cui misura dipende dal sistema di riferimento. Molte altre grandezze lo sono, basti pensare al colore, fenomeno elettromagnetico: lo spostamento verso il rosso del colore delle stelle ci indica la loro velocità da noi. Anche il suono: il fischio del treno che si avvicina cambia.

Il concetto di grandezze relative sembra, quindi, naturale, scontato ma non è così. Esso incomincia a restringersi quando Einstein, partendo dallo strano comportamento della velocità della luce, che non si compone con la velocità di alcunchè, scoprì la relatività, appunto, ristretta. I fenomeni diventano di colpo molto strani: le lunghezze, il tempo, le masse non sono più le stesse, ma dipendono dalla velocità dei sistemi, rispetto a me che me ne sto nel mio.

Ma c'è un fantasma che si aggira in questi ragionamenti: il fatto che si possa sempre "stare fuori" ad osservare un fenomeno, che sia cioè possibile misurarlo stando in un altro sistema. Alcuni fisici di frontiera, dubitano della realtà di tale possibilità, negando addirittura che si possa parlare di realtà dei fenomeni stessi, se dipendono dal sistema di riferimento. E per questo sono propensi a credere che solo grandezze assolute, invarianti, siano reali.

Pensiamo alla cosmologia: da quando è diventata scienza solleva un problema enorme. L'osservatore non può stare fuori dalla scatola, "out of the box", fa parte dell'osservato. Cosa è la fisica in queste condizioni? Deve rivedere i pilastri epistemologici su cui si è fondata, ripensare a se stessa in modo nuovo.

Ma perchè stro dicendo questo? 

Mi ha colpito il recente episodio di una giunta municipale accusata di infiltrazione criminale, i cui membri (non esponenti, parola nobile da dedicare alla matematica), si  difendono con ragionamenti relativistici del tipo "i nostri avversari sono molto più infiltrati". Come se bastasse questo per assolverli. Non sana o annulla un difetto se dico che qualcuno ne ha di più, è una maniera di  procedere scorretta e disonesta concettualmente.  Il problema è ancora stare in the box o out of the box. La pretesa di stare fuori è vana, sconfitta dalla fisica. Ma se non posso stare fuori, anzi è impossibile stare fuori, allora devono prevalere le grandezze assolute, le uniche reali. L'onestà non è reale se sono onesto nella misura in cui c'è uno meno onesto di me. Specialmente se mi erigo ad arbitro dell'onestà, demiurgo delle categorie filosofiche positive.

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