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Napoli, città quantistica

napoli

Se vado a Milano, a Roma, in qualsiasi altro posto, so grosso modo cosa mi aspetta. la rappresentazione che ho di questi luoghi si discosta poco da ciò che troverò e, se troverò qualcosa di diverso, lo saprò inquadrare rapidamente in uno schema. Questi luoghi sono classici: esistono indipendentemente da me e posso sperimentare su di essi altrerandone le caratteristiche in modo controllato. Possono anche sopraffarmi, ma sono sempre diversi e separati da me.

Napoli non è così. L'atto di osserverla la rende reale ed è reale per me in modo diverso da come è reale per un altro. Ogni istante essa cambia e cambia il modo con cui mi rapporto ad essa. Non c'è modo, anzi è inutile ed illusorio averne una rappresentazione astratta. Essa colliderà con ciò che sperimento, rendendola sempre diversa.

Napoli è una nostra costruzione, o meglio, rinasce da come la osserviamo. Per questo affascina, per questo è unica. E' un luogo quantistico. A fianco vediamo delle tavole di Moebius che in qualche modo rappresentano questa unicità.

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Vedere da vicino e da lontano.

L'evento Dolce e Gabbana, cosi come quello più in sordina di Costa crociere a Capodimonte, mi portano a fare varie considerazioni riguardo all'atteggiamento dei miei contatti.
Si sono divaricati tra chi li ha amati e chi li ha odiati.
Sembra essere mancato del tutto, ma è tipico dei social, una visione ponderata e riflessiva. Tutti a scatenarsi di pancia, spesso ammantata di dotti riferimenti ideologici caratteristici del livello culturale degli scriventi. E' un bel fenomeno questo, la pancia che si fodera di cervello. Molto meglio essere di pancia o di cervello separatamente. Nel primo caso post luddisti ed a tratti paraomofobi, nel secondo dottrinariamente marxisti-leninisti.
Ma quelli più interessanti sono quelli a cui accennavo, il mix.
La prima cosa che mi viene da pensare è l'ipocrisia e una sorta di nevrotica invidia. L'ipocrisia è legata al fatto che viene contestata a D&G sia la visione pizza&mandolino che il fatto che i loro abiti sono fatti da bambini schiavi.
Non si pensa, o meglio si trascura, che chi scrive i post, qualunque post, lo fa comodamente da casa propria usando tecnologie realizzate in posti in cui lo sfruttamento è animalesco. La Apple in Cina ha dovuto mettere delle reti per impedire agli operai di morire buttandosi dalle finestre. Le nostre mutande, calzini, scarpe, pantaloni e magliette, sono fatte da bambini schiavi. le lampade che ci illuminano anche. Allora se vogliamo essere coerenti dovremmo rinunciare a usare i social o andare nudi. Quindi contestare a D&G questo fatto è sintomo di perbenistica piccolo borghese ipocrisia.
Allontaniamo il punto di vista.
Napoli è una novità, tra mille contraddizioni, dal punto di vista politico. Non è un caso che i giornalacci nazionali tendano a minimizzarne il suo ruolo. Ben vengano quindi che D&G o Givenchy l'abbiano scenlta come passerella. L'iconografia pizza-mandolino qualunque esperto di comunicazione la smonta subito. Una cosa è il messaggio, un'altra il metamessaggio. All'estero Napoli è vista come luogo mitico e attraente in modo intimo. Gli stanieri attraverso la metafora pizza-mandolino intavedono ul luogo dell'anima. Oltretutto le ricadute economiche potrebbero essere enormi, passando dal 30% di strutture libere, all'overbooking, sintomo di ripresa economica. Un museo ha successo se ha due ore di fila, non un turista ogni dieci minuti.
Ultima annotazione, molto delicata. Artisti, fotografi, operatori culturali, non tutti, ovviamente, hanno odiato questa kermesse perchè si sono sentiti esclusi, hanno visto la loro attività resa vana, inutile, incompresa da due cafoni kitch. Non si chiedono mai come mai non hanno mai inciso veramente nel tessuto culturale della città. Geni incompresi. Dovrebbero comprendere che una espansione dell'economia napoletana è una grande opportunità, non una jattura.

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Le (nuove?) dimensioni della politica

tredSi rifletteva in un precedente articolo sulla bidimensionalità della politica, cioè sulla coniugazione alto/basso rispetto a qualla più tradizionale destra/sinistra. Questo per determinare, se possibile, le cause della crisi delle vecchie categorie, che hanno dimostrato una profonda incapacità di incidere nella realtà attuale.

Un'osservazione che mi è stata fatta è che forse è necessario un nuovo asse. Riflettendo su quanto è successo in Inghilterra  e, in generale sui populismi che incalzano in tutta Europa, un'ipotesi possibile è porre sul terzo asse un parametro fino ad ora trascurato: la distanza centro-periferie.

La definizione di periferie, volutamente al plurale, è non solo geometrica ma anche culturale. Attiene sia a chi sta lontano dai centri abitati, che coincidono spesso con i luoghi dove è maggiore lo scambio culturale, la comunicazione individuale ed i servizi, ma anche a chi, pur essendo fisicamente nei centri abitati, è escluso da ll'interazione col prossimo.

La politica tradizionale , in altre parole, già trova difficoltà sul piano cartesiano destra/sinistra-alto/basso. L'analisi della realtà ha ancora però dei metodi, direi standard, gestibili, se sto a distanza 0 dal centro. Ma appena ci si muove sul terzo asse, la prospettiva, il punto di vista, incomincia a cambiare. Le categorie precedenti si avvolgono di una nube, un campo, che rende sempre di più opache queste categorie. E' una sorta di campo di Higgs della politica. Essa acquista senso se mi avvicino, si rarefà sempre di più se mi allontano.

La colpa, meglio dire la genesi di questo fenomeno è da imputarsi, come ormai sempre, ai processi di globalizzazione e di svaporamento dei nemici diretti. Sono spariti i luoghi immediati di conflitto, con c'è più il latifondista cattivone, il padrone in carne ed ossa, c'è solo una rappresentazione televisiva e digitale dei conflitti, strumentalizzati per generare ansia, depressione, ineluttabilità dello star male. Ma non basta. In Europa gli stati e la UE fanno in modo che la canna del gas sia sempre ad una certa distanza di sicurezza, altrimenti non si spiegherebbe, tranne in pochi casi, come mai non si sia a sparare in mezzo alla strada. Le politiche comunitarie sono tutte incentrate nel rendere i popoli schiavi ma ancora con un tozzo di pane o con uno smartphone di ultima generazione, drogati in una matrice senza alcun grado di libertà.

Questo ha dei risvolti inquietanti nella vita civile: svuola la libertà, la democrazia di qualunque significato, ed aumenta tale svuotamento man mano che mi allontano dal centro. Rimpiango quando esistevano le sezioni dei partiti in ogni quartiere. Luoghi dove imparavi e praticavi la democrazia. Si litigava, si bestemmiava, si stringevano alleanza, si disegnava un futuro possibile. Non solo. La desertificazione delle periferie, senza fabbriche, senza cinema, in cui ognuno  ha solo tv e una internet ormai dominio del neo liberismo ma smerciata come luogo di libertà e democrazia,  ha portato oggettivamente al fraintendimento di ogni consapevolezza democratica. Non sai per cosa, chi o perchè voterai; sai solo quello che la televisione ti ha fatto credere o il rumore di fondo dei social network ti ha scosso nelle viscere.

Ovviamente non sto affatto teorizzando, come stoltamente fa qualcuno, anche a sinistra, che vada rivisto il diritto di voto sul terzo asse. sto solo dicendo che occorre un processo profondo di rinormalizzazione della nostra società, per rendere la democrazia inveriante per trasformazione di gauge, come direbbe il fisico che sta in me.

 

 

 

 

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Cosa abbiamo trascurato

nuova politica

Dopo le elezioni amministrative 2016, che hanno visto la vittoria del M5s e di De Magistris a Napoli, ho riflettuto sugli elementi comuni di questi successi, ed una possibile spiegazioni sta in un nuovo paradigma.
Fino ad ora i partiti tradizionali hanno inteso la politica come separata da altre componenti dell'uomo. Le categorie destra/sinistra erano necessarie e sufficienti per determinare le chiavi di letture della realtà e le possibili risposte per migliorarla. In altre parole non era necessario essere credibili, empatici, amati, emozionanti per avere credito e consenso. Bastava "un buon programma" o "la competenza" per essere votati e conquistare il potere.

Ma il caso Fassino a Torino fa naufragare tale schema, così come lo stato comatoso dei partitini di sinistra, diventati covo di nevrotica autoreferenzialità. I partiti tradizionali, tutti quanti, sono diventati antipatici, scostanti, addirittura odiati. Si sono staccati dalla realtà e si sono congelati in un loro micromondo virtuale.

Altri modi si sono affacciati, fatti di istinto, passione,  e forte spirito identitario. Parlano di chi sta in alto, in basso, dentro, fuori, creando una nuova geometria, su assi ortogonali rispetto ai modi obsoleti della vecchia politica. Essa è collegata strettamente, connessa, con l'evaporazione dei vecchi topos ottocenteschi: classe operaia, proletariato, padroni, sfruttamento del lavoro salariato eccetera. L'avvento della finanziarizzazione dell'economia,la crisi dei paesi del socialismo reale, la scelta, dei partiti di sinistra, del neoliberismo come possibile nuova moralità, hanno strappato, violentato chi sta sotto, hanno eliminato ogni punto di riferimento. 

Le componenti psicologiche, esistenziali, insomma umane sono diventate preponderanti anche rispetto alla stima dei buoni governanti, anche in ambito locale. Ad esempio, nel caso di De Magistris, ma anche nel caso della Raggi, alla gente interessa fino ad un cero punto se siano bravi o competenti. E' più importante che siano visti come onesti, belli, identitari, puliti. Sono il nuovo. Non che non sia importante essere competenti, ma non basta più.

Allora quello che si deve fare è questo: passare dalla visione monodimensionale della poltica (o sto su un asse, o sull'altro) ad una bidimensionale, in cui la politica giaccia su un piano, il cui le cordinate siano due: una che corrisponde alla vecchia dicotomia desta/sinistra, l'altra che tenga conto di chi siamo noi, fatti anche di passione, istinto, sentimenti.

Senza la coniugazione di questi due momenti, sia la vecchia strada che la nuova falliranno, la prima per mancanza di pathos, la seconda per mancanza di idee.

 

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"Nè di destra, nè di sinistra"

"Nè di destra, nè di sinistra". Assomiglia molto ad un'altra frase: "il voto è segreto", quando si chiedeve a qualcuno per chi votasse. La prima frase contiene, in sè, un errore fondamentale, anzi due. La seconda un altro. Il definirsi di destra o di sinistra è un problema di misura.

La misura gode di alcune proprietà. Le più importanti sono l'esistenza di strumenti di misura ed il ruolo dell'osservatore. Mi soffermo su quest'ultimo. Esso è come "l'occhio di Dio", cioè si deve porre all'esterno del fenomeno, "fuori dalla scatola" cercando,con i suoi strumenti, di studiare il fenomeno stesso senza alterarne le caratteristiche. In altre parole, nel nostro caso, essere di destra o di sinistra non è una proprietà autodefinita ma richiede una entità esterna che la giudichi tale. Una cosa è sentirsi, una cosa è essere. Come entità esterna, per non incorrere in paradossi logici, si potrebbe scegliere l'evoluzione dinamica di questa definizione, scegliere cioè il dominio del tempo anzichè la fissità idealistica insita nelle tautologie. E quindi la dimensione dinamica implica una prassi, il come un soggetto "nè di destra nè di sinistra" si comporti nel tempo. Vediamo cosa sai fare e cosa farai e poi ne parliamo, in altre parole.

Poi c'è l'aspetto fisico. La simmetria destra sinistra, implicita in questa frase, è stata rotta in tutta l'evoluzione del nostro universo. La parità è rotta, in tutti gli ambiti, dal micro al macrocosmo. Destra e sinistra sono cioè incommensurabili. Chi dice "Nè di destra, nè di sinistra" non determina alcun luogo, nè logico, nè fisico. Non è nulla. E' come dire "non sono nè un uomo nè una pera". Ed in questo vedo similitudine con la seconda frase, "il voto è segreto". Nel primo caso la storia insegna che chi la dice nasconde il suo sentirsi di destra, ma è troppo opportunista e/o vigliacco per dirlo. nel secondo caso era un metodo per scoprire chi era democristiano.

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