Napoli vede diminuire i suoi abitanti, aumentare l'età media, mentre l'area metropolitana è molto popolosa, con la massima densità abitativa d'Italia. In questi ultimi anni ha visto un aumento molto rapido dell'ondata turistica. Come sempre ha fatto, ha cercato di organizzarsi per sopportare tale massa in rapida visita aprendo una sterminata serie di b &b e locali di somministrazione del cibo.Il tutto concentrato nel centro storico che finora ha cercato di resistere alla gentrificazione, ma man mano tale resistenza è sempre più difficile. Il turismo viene percepito come la principale risorsa economica , mentre io ritengo che, se impostato come è adesso, sia la fine della nostra città.
Napoli se vuole sopravvivere bene (perchè tanto ha dimostrato di saper sopravvivere, anche male!) deve necessariamente essere in grado di fare poche cose: attrarre economia, sviluppare economia, abbassare l'età media degli abitanti del centro storico, essere il motore dello sviluppo di tutto il sud. Deve riappropriarsi del ruolo che aveva prima dell'unità d'Italia, con in più l'abbattimento della sua borghesia parassitaria ed improduttiva. Sognerò, sarò utopista, ma San Francisco è il mio punto di arrivo, non Calcutta, con tutto il rispetto per gli indiani.
Solo così il turismo può assumere il suo vero ruolo: si viene a Napoli per studiare, lavorare, anche riposare. Il turismo come effetto della qualità della vita e non come rimbalzo nevrotico. Naturalmente ci sarebbe da parlare fino a domani su cosa sia la qualità della vita, ma immaginate solo per un attimo cosa sarebbe Napoli con scuole, trasporti, sanità efficienti e come luogo in cui trovare lavoro appagante.
Il mio mestiere mi ha insegnato come sia problematico guardare alle cose, che sono in fondo nostre costruzioni mentali. Sarebbe molto più efficiente badare ai fatti, ai fenomeni che accadono sgombrando la nostra mente da preconcetti e schemi fissi.Ma anche qui sorge una contraddizione.: senza una pre-concetto non posso analizzare nulla! C'è, inoltre, una ulteriore complessità derivante dai fattori di scala: il fenomeno con cui interagisco è diverso se cambio la scala di riferimento. C'è cioè una intrinseca differenza se lo osservo dal microscopio o dal cannocchiale. Che non è solo differenza spaziale, ma anche temporale: man mano che mi allontano spazialmente, emerge sempre più violentemente anche il tempo. Se guardo una stella lontana, la guardo nel tempo. Se guardo un atomo lo osservo nello spazio, fondamentalmente.
Guardare ai morti, alle case crollate, alle devastazioni di una guerra, con lo sguardo di prossimità che mi concede la nostra tecnologia, mi fa osservare un fenomeno che, allontanandosi, rimanendo ovviamente lo stesso, si arricchisce di nuovi strati che lo inglobano, lo contestualizzano e lo storicizzano. L'errore che commettiamo, quello più rischioso e subdolo, quasi inevitabile, è osservare i fenomeni mischiando le scale, adottando, per esempio, il canocchiale per osservare da vicino ed il microscopio da lontano, o nessuno di questi. Ma usando strumenti diversi e sbagliati non ci porta da nessuna parte.
Questo dal punto di vista metodologico. Ma mo viene il bello: la scelta. La scelta di come osserviamo,misuriamo ed interpetriamo la realtà, o meglio, ciò che sta fuori da noi, può essere sia autonoma che, in qualche misura, imposta. Esiste, cioè, il tentativo, spesso riuscito, di imporre un modello dominante che informa, cioè forma dentro, le nostre menti, e possiamo chiamarlo modello dominante. Che è subdolo in quanto spinge, ora, ad esempio, ad avere un giudizio astorico, acritico sulle cose che si vedono, basato su una risposta emozionale e quindi acritica su cui si poggia, invece, una sorta di giudizio storico irrazionale. Vedo il sangue, quindi i'assassiono è il cattivone, lo è sempre stato e sempre lo sarà. Terreno scivoloso: Se osservo la guerra da vicino, è sempre stata un fatto inumano, in cui si è rotto, tra tutti, il patto tra ragione e sentimento. Ma la mia ragione mi dice, in modo sempre più flebile, che le cose stanno in modo diverso.
Il mio schema privilegiato è questo: la sopravvivenza dell'umanità non è una cosa omogenea, ma è la lotta delle classi sociali. E' una lotta violenta e spietata, in cui i sentimenti sono differenziati e collidenti, in cui la violenza di qualcuno corrisponde specularmente alla violenza di qualcun altro. La guerra in sè va vista come una delle possibilità, è la "politica fatta con altri mezzi". Naturalmente un mondo in armonia giustamente la aborrirebbe, ma il nostro mondo è ben lontano ancora dall'armonia. Se osservassimo da lontano quello che sta accadendo, vedremmo come le genesi dei conflitti armati siano riconducibili a conflitt di egemonia e sopraffazione tra le classi sociali e la fase attuale è quella che vede gli oppressi sconfitti ed il grande capitale vincente. sia esso finanziario, oligarchico, teocratico o collettivistico.dategli il nome che volete, sempre capitalismo è.